Nelle piazze d’Europa, non molto tempo fa, si mandavano a morte attraverso un percorso lento e doloroso di sofferenze crescenti, migliaia di criminali con uno spettacolo della punizione in cui il pubblico partecipava attivamente. Lo scopo del supplizio era quello di raggiungere la verità, attraverso confessioni, parole estorte in fin di vita.
Giudichiamo ancora i crimini e i delitti, ma ancora di più istinti, passioni, anomalie, infermità, disadattamenti. Siamo il pubblico del supplizio del nostro vicino di casa e il suo boia potrebbe vivere con lui sotto lo stesso tetto.
Lo Splendore dei supplizi è uno spettacolo modulare composto da quattro segmenti autonomi; quattro castighi esemplari su quattro figure tipo del presente che viviamo: c’è la coppietta in crisi, un giocatore compulsivo di videopoker, la convivenza forzata di una badante straniera con un vecchio un po’ razzista, un po’ infame e ci sono due operai che rapiscono un vegano per sfogare l’insoddisfazione di una vita che non ha più senso. La città di riferimento è Bari, ma potrebbe essere una qualunque città d’Italia.
Il nome dello spettacolo è tratto da un saggio di Foucault in cui si parla di come le esecuzioni e le torture pubbliche, per ragioni legate alla sicurezza pubblica ma anche in seguito ad un mutamento del concetto di Stato, siano scomparsi dalle pubbliche piazze per avvenire secondo modalità diverse in luoghi chiusi sicuri, nelle carceri, al riparo da ogni contatto con il popolo. In scena, i quattro interni comuni (un salotto, una stanza da letto, una sala e un sottoscala) assumono il riverbero, gli echi delle celle, in cui le quattro figure che animano gli episodi scontano colpe di ipocrisia, menzogna, opportunismo ed egoismo.